Immerso in una valle ricca di platani, vigneti ed uliveti secolari, il Comune di MONGIUFFI MELIA è costituito da due piccoli ma caratteristici borghi, uniti tra loro da un Ponte che sovrasta il fiume Ghiòdaro.
La Valle del Ghiòdaro
Definita dallo scrittore francese Roger Peyrefitte “Le vallon le plus joli du monde”, la Valle del Ghiòdaro rappresenta oggi uno dei tesori culturali e naturalistici siciliani tra i più importanti. Dominata dalla presenza del Monte Kalfa, prende il suo nome dal fiume Ghiòdaro che l’attraversa. Il territorio della Valle, che significa “dono della terra”, fu abitato dai Greci, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Romani. Da Letojanni, volgendo lo sguardo a monte, un bivio s’inerpica lungo il corso del fiume, rivelando una natura ricca, nella quale vengono praticate attività di motocross, mountain bike e trekking. Lungo il corso del fiume si possono ammirare numerose piccole cascate che hanno formato degli incavi nella pietra sagomata dal perenne scorrere dell’acqua e che hanno assunto colore rosso sangue, a causa dei minerali contenuti nel terreno.
Definita anche la Valle dei Santuari Mariani, oggi l’intera Vallata è un luogo di spiritualità che accoglie tre Santuari dedicati alla Santissima Vergine: S. Maria della Libera a Melìa, la Madonna della Catena a Mongiuffi e la Madonna dell’Aiuto a Roccafiorita, in grado di richiamare pellegrini proveniente da tutta la provincia e inseriti all’interno di itinerari mariani che presto potrebbero essere dichiarati Patrimonio dell’Umanità.
Mongiuffi Melia
Posto a 375 metri s.l.m., e’ il decimo comune,come altitudine, del comprensorio dei peloritani e, sebbene si trovi dal punto di vista altimetrico in posizione intermedia tra i centri più e meno elevati dello stesso comprensorio, non manca di farsi apprezzare sotto il profilo ambientale.
Immerso in una valle ricca di platani, vigneti ed uliveti secolari,fin dal periodo Romano costituiva uno dei più importanti serbatoi per l’approvvigionamento della città di Taormina ,ve n’e’ difatti traccia in un antico acquedotto di origine greco-romana situato nella vallata.
Fino agli anni 50 fu sede di un industria di allevamento di Filugelli che costituiva la principale fonte di reddito del paese poi scomparsa con l’avvento della seta sintetica. Divenne Marchesato nel 1639 ,quando Giuseppe Barrile ,Senatore della citta di Messina ,comprò il titolo di Marchese di Mongiuffi e Barone di Melia. Da allora e fino al 1903 si sono succeduti 14 Marchesi. La sede del Marchesato era a Melia,nome che derivava dal culto che i Greci avevano per l’ Oceanina Melia , sposa d’Inaco, figlia di Oceano e Tetide venerata nella Beozia ,antica regione della Grecia ,come ninfa delle acque. Nel 1640 per volere del Barrile fu costruito il palazzo del Marchesato in mezzo ad un giardino d’agrumi dove prima vi era un vecchio casolare ,venendo impegnati per la realizzazione della residenza di campagna del Barone, tutti i contadini del Marchesato e dei paesi vicini.
Foto paesaggistiche di Mongiuffi Melia
Etimologia
Si narra che Cronos, per punire il padre Urano, gli tagliò i genitali e li scagliò in mare; da essi nacque Afrodite e dal sangue che uscì dalla ferita nacquero le Furie, i Giganti e le ninfe Meliadi, ninfe dei frassini. Queste ninfe proteggevano i bambini appena nati che venivano abbandonati sotto gli alberi. La più famosa delle Meliadi era Melia, che dal dio fluviale Inaco partorì Io.
Mongiuffi deriva probabilmente da "MONGI" (Cocuzzolo solitario) anche se non vi sia certezza sul significato stesso della parola.
Il Marchesato di Mongiuffi Melia (1639 -1903)
Nel 1535 Carlo V, dopo aver sconfitto gli Arabi a Tunisi, si recò in visita a Taormina dove vendette per 80.000 fiorini tutti i possedimenti del territorio ad Antonio Balsamo. In seguito Taormina riscattò la propria vendita, mentre dei territori di Letojanni, Gallodoro, Gaggi, Graniti e Mongiuffi Melia furono creati dei Marchesati e delle Baronie. Nel 1639 il Marchesato di Mongiuffi e la Baronia di Melia furono venduti al Senatore Messinese Giuseppe Barrile per 4.800 once pari a 35 Euro attuali, ed il 4 Febbraio del 1643 s’investì del titolo di “Marchese di Mongiuffi e Barone di Melia” occupando il trentatreesimo posto nel Parlamento Siciliano.
( FAMIGLIA BARRILE 1639 – 1686 )
1° GIUSEPPE BARRILE (Marchese di Mongiuffi e Barone di Melia) (1639 – 1660)
2° GIOVANNI MARIA BASILE (Figlio di Giuseppe) (1660 – 1666)
3° TOMMASO BARRILE ( Fratello di Giovanni ) (1666 – 1685)
4° ANTONIO BARRILE (Figlio di Tommaso, riunì i due titoli) (1685 - 1686)
( FAMIGLIA CORVAJA 1686 – 1710 )
5° PANCRAZIO CORVAJA ( Marito di Bianca Parisi ved. Barrile) (1686- 1710)
( FAMIGLIA RAO - CORVAJA 1710 – 1880 )
6° FRANCESCO RAO_ CORVAJA (marito di Nicolina Corvaja) (1710 – 1725)
7° MARIO RAO- CORVAJA (figlio di Francesco) (1725 – 1752)
8° FRANCESCO RAO – CORVAJA ( figlio di Mario) (1752 – 1768)
9° MARIO RAO – CORVAJA (figlio di Francesco) (1768 – 1801)
10° FRANCESCO – RAO CORVAJA ( figlio di Mario) (1801 – 1842)
11° GIOVANNA RAO –CORVAJA (vedova di Francesco) (1842 – 1844)
( FAMIGLIA LOFFREDO 1844 – 1903 )
12° SILVESTRO LOFFREDO (marito di Giovanna) (1844 – 1880)
13° GAETANO LOFFREDO (secondo figlio di Silvestro) (1880 – 1897)
14° VINCENZO LOFFREDO CALCAGNO (nipote di Gaetano) (1897 – 1903)
Il Palazzo del Marchesato XVII sec.
Nei primi anni la sede del Marchesato fu a Mongiuffi, in un’abitazione ancora esistente, nei pressi della vecchia Chiesa di San Leonardo. In seguito, il Marchese Barrile decise di costruire un palazzo più grande dove abitare con tutta la famiglia nel periodo della caccia. Secondo alcuni racconti popolari pare che abbia abbandonato la residenza di Mongiuffi a seguito di una disgrazia accorsa ad una sua sorella la quale, mentre stava attraversando il fiume in piena per le forte piogge, fu trascinata dalle acque senza che il suo corpo fosse più ritrovato. La scelta del luogo dove costruire il Palazzo cadde su un giardino fuori dal centro abitato dove sorgeva una piccola casa di contadini nel Borgo di Melia.
I lavori, per la costruzione del Palazzo o Castello, come lo chiamava il Barrile, iniziarono nel 1640 e furono affidati al capo mastro Lo Turco Sebastiano; vi presero parte tutti i contadini del luogo mentre le Maestranze giunsero dalla vicina Taormina. La prima parte del Palazzo fu completata nel 1644 e l’entrata era dalla Via Grande, la strada principale del Borgo. Davanti vi erano una piazza con una sorgiva d’acqua chiamata “Fontana Rizza”e un cancello di ferro lavorato sorretto da due colonne. Si salivano degli scalini in pietra alla sommità dei quali vi era un pianerottolo con un sedile in pietra dove i marchesi, durante la calura estiva, riposavano all’ombra di un gran pergolato che copriva anche l’adiacente terrazzino “Astrico”, molto in uso nelle case dei nobili della Sicilia del Seicento. Al primo piano vi erano sei balconi, tre in pietra locale sorretti da capitelli che davano sulla Piazza San Sebastiano e gli altri tre, dopo i restauri apportati dall’ultimo proprietario, furono trasformati due in balconi a muro e il terzo, quello della camera da letto, fu chiuso definitivamente. Varcato il portone principale in stile Barocco con lo stemma dei Corvaja si giungeva nel primo locale: sulla sinistra una cucina a legna, un forno in pietra per la cottura del pane e un tavolo con delle panche per il personale di servizio. Sulla destra un balcone con una passerella di legno portava alla cantoria della Chiesa di San Sebastiano per consentire al Marchese di ascoltare la santa messa senza mischiarsi con i contadini che stavano di sotto. Da una porta centrale si entrava nelle stanze delle udienze dove spiccava un bellissimo pavimento bianco e nero e un balcone che dava sulla Piazza San Sebastiano. In essa vi erano un bellissimo pianoforte, un tavolo in legno massiccio con quattro sedie dello stesso stile e una grande vetrina dove venivano posti libri e oggetti di porcellana. Appesi al muro quadri in tela di pittori del Settecento, dono di nobili, ospiti al Palazzo. Da una porta centrale si entrava nella camera da letto abbellita da un pavimento rosso e nero e da un’Alcova ad arco sotto la quale vi era il letto del Marchese. Sotto il pavimento della stanza due cunicoli con relative botole servivano come nascondiglio d’oggetti di valore. A destra dell’alcova una porta immetteva nella stanza degli ospiti, dove vi era un balcone rivolto verso Mongiuffi e l’altro in legno che sporgeva nel sottostante giardino utilizzata come gabinetto. Le altre due stanze erano servite da finestre che davano nel sottostante giardino e una di queste fu chiusa a causa di una tragica storia d’amore. Si racconta che il Marchese avendo trovato la figlia in relazioni intime col nipote li abbia fatti uccidere e buttare i loro corpi dalla finestra nel sottostante giardino, facendo murare per sempre quella finestra.
Il tetto era in legno e coperto con canali di terracotta con un solaio utilizzato come ripostiglio. Al piano terra vi erano le officine con l’ingresso dell’atrio a sinistra della Via Grande arieggiati da sei finestre con sbarre di ferro, quattro davano sul giardino e due sulla Piazza San Sebastiano.In seguito le officine furono usate come cantine e le grandissime botti, pervenuti fino ai nostri giorni, sono state distrutte all’interno, poiché per la loro grandezza non potevano essere portate fuori. Dentro le officine una galleria sotterranea conduceva alle scuderie che si trovavano di fronte all’entrata del Palazzo. Sotto il pavimento vi erano “le fosse della morte”, dove venivano buttati i cadaveri di persone scomparse misteriosamente. Come tutti i palazzi nobiliari anche questo aveva un sistema di sicurezza che consisteva nello sbarrare dall’interno tutte le aperture con travi di legno. Abitato dai 14 Marchesi e dalla famiglia Cuzari fino al 1973, dopo la morte dell’ultimo erede fu acquistato dal Comune e dopo un periodo d’abbandono nel 2005 – 2006 i lavori di restauro lo hanno riportato agli antichi splendori. Secondo alcuni racconti degni di fede pare che in passato il Palazzo sia stato teatro d’eventi strani ed inquietanti a testimonianza dei quali nel 1952, durante i primi restauri, nei locali adibiti a cantina è stata scoperta una fossa con dentro ossa umane. Gli anziani del Borgo raccontano di fantasmi che vagavano nei piani superiori e nello scantinato emettendo piccoli lamenti e lasciando un gran fetore, forse erano le anime degli uccisi che vagavano intorno al posto del delitto fino a, quando non trovavano pace.
Oggi il Palazzo è stato acquistato dal Comune e ristrutturato dalle Belle Arti; è destinato ad ospitare mostre ed eventi culturali e pare che anche gli spiriti siano stati accontentati forse perché dopo tanto silenzio chiedevano un pò di svago e da morti, si sa, ci si annoia moltissimo. Nell’adiacente Piazza di San Sebastiano si trovava la cappella privata dei Marchesi, con sopra il portale una nicchia con la statua di San Sebastiano del XVII sec. All’interno,un pregiatissimo altare in pietra di Taormina fatto costruire nel 1644 dal Marchese Barrile in onore del padre. Sulla cantoria un grande organo a canne, dietro l’Altare, un bellissimo quadro in tela raffigurante San Silvestro e la Madonna e, al centro sotto il pavimento, alcune botole per la sepoltura dei familiari dei Marchesi.
I Marchesi
I Marchesi che si sono succeduti dal 1643 al 1903 sono stati 14 divisi i quattro famiglie: La prima famiglia fu quella di Giuseppe Barrile che s’investì del titolo di “Marchese di Mongiuffi e Barone di Melia” il 04 del mese di febbraio del 1643.
Oriundo di Napoletano, Senatore della città di Messina, molto istruito, basso di statura e calvo portava sempre una parrucca coperta da uno sfarzoso copricapo; amava molto i cavalli che teneva nelle scuderie di fronte al palazzo e con essi faceva lunghe galoppate con gli amici nelle campagne circostanti il Borgo. Morì nel 1660 ma non si conosce il luogo della sua sepoltura; molto probabilmente,fu sepolto nella Chiesa del marchesato, oggi di San Sebastiano.
Gli succedette il figlio Giovanni Maria Barrile d’aspetto molto simile al padre che continuò l’ampliamento del Palazzo. Molto generoso diede ai contadini terreni da coltivare. Morì nel 1666 e come il padre sicuramente trovò sepoltura nella Chiesa di San Sebastiano. Il 17 dicembre 1666 gli succedette il fratello Tommaso molto rozzo e arrogante e d’aspetto non bello, che si circondò di belle ragazze e istituì lo “jus prime noctis”. Sul suo conto si raccontano molti episodi tra leggenda e realtà, quella più nota, riguarda la figlia Jolanda, promessa sposa ad un signorotto di Taormina, che s’innamorò di Mario, un giovane corriere molto bello, forse suo parente, che spesso arrivava a cavallo da Taormina e rimaneva molti giorni al Palazzo. Non passò molto tempo che tra i due giovani sbocciò l’amore e divennero amanti. Il marchese, avvertito da un giovane della servitù, tornò prima dalla passeggiata e, scoperti i due giovani abbracciati nella camera da letto, li uccise con un pugnale. Fece buttare i loro corpi dalla finestra nel giardino sottostante per poi seppellirli nelle officine del palazzo. Negli anni sessanta, in seguito a dei lavori di scavo eseguiti nella cantina lato piazza San Sebastiano, affiorarono delle tombe e una di queste destò l’attenzione dei lavoratori poiché in essa vi erano due scheletri, ben conservati, ancora vestiti con abiti eleganti. Leggenda o realtà?.L’orribile segreto riemergeva durante le notti di luna piena quando i due sfortunati amanti apparivano alla finestra che dava sull’orto. Suggestionati dalla fantasia i contadini giuravano di vederli: lei vestita di bianco con i capelli lunghi, lui vestito con abiti lussuosi e barba lunga. Per far tacere le dicerie degli abitanti del Borgo il marchese fece murare quella finestra. Alla morte di Tommaso, avvenuta nel 1685, gli succedette il giovane figlio Antonio che riunì i due titoli di Marchese e di Barone. Sposò Bianca Parisi, ma morì giovanissimo forse per la peste che in quel periodo mieteva molte vittime; si sconosce il luogo di sepoltura.
Con la morte di questo marchese finì la dinastia dei Barrile. Il 14 agosto del 1686 Pancrazio Corvaja, sposando la vedova Bianca Parisi, ereditò tutti i titoli e i beni del Marchesato assumendo il titolo di Marchese di Mongiuffi Melia.Da questa unione nacque una bambina morta dopo un giorno, l’8 agosto 1708. Rimasto vedovo dopo poco tempo si risposò con Nicolina Corvaja.Molto istruito e religioso pretendeva che tutti i contadini e le loro famiglie la domenica e nei giorni di festa andassero a Messa e spesso s’intratteneva con loro per discutere dei loro problemi. Si trasferì da Taormina con tutta la famiglia e la servitù abitando a tempo pieno nel Palazzo. Vestiva abiti sfarzosi e per le feste principali organizzava delle sfilate in costume a cui partecipavano non solo i nobili, ma anche i contadini. Istituì il Palio, giochi di forza e abilità, a cui partecipavano tutti i contadini del Marchesato che sfidavano i nobili giunti dalla vicina Taormina.Amava fare delle lunghe passeggiate per le vie del Borgo progettando opere pubbliche e infatti fece costruire tre belle fontane, due a Melia e una a Mongiuffi.Il 12 maggio 1702 inaugurò la Chiesa di San Nicolò, come si rileva da un’iscrizione sull’arco trionfale “ Opus Marchionis refecit A.D. 1702”, fece ampliare la Via Grande e ristrutturare il Palazzo. Nelle sue idee c’era anche la costruzione di un terzo piano, ma il progetto non fu portato a termine per l’eccessivo onere. Morì nel 1710, forse anche lui vittima della peste insieme a diversi suoi figli, sicuramente fu sepolto nella Chiesa di San Nicolò dove fino al rifacimento della nuova Chiesa esisteva il suo monumento funebre. Il primo giugno del 1710 la vedova Nicolina Corvaja sposò Francesco Rao, il quale per dare prestigio al titolo assunse al suo cognome quello dei Corvaja. Morì a Contesse (ME) nel 1725 dove fu sepolto. Nel 1725 gli succedette il figlio Mario Rao Corvaja ricordato sole per le feste che teneva al Palazzo, morì l’11 novembre 1752 a Taormina e fu sepolto nella Cattedrale. Gli succedette il figlio Francesco di cui si ricordano le alte qualità: rispettava i contadini, faceva dei regali ai poveri e invitava tutti gli abitanti alle feste da ballo che si tenevano nella Piazza di San Sebastiano.Partecipava con i contadini alla festa della mietitura e della trebbiatura e con loro si divertiva a cantare delle vecchie filastrocche in dialetto siciliano. Morì nel 1768 a soli 44 anni e al suo funerale partecipò tutto il Borgo piangendo il suo giovane Marchese. Fu seppellito nella Chiesa di San Nicolò accanto ai due figli, forse gemelli, Caterina Domenica Virginia e Carlo Gaetano e sulla sua tomba fu messa una pietra sepolcrale con iscrizioni e decorazioni che elogiavano le sue virtù. Nel 1768 gli succedette il figlio Mario, ma questi abitò poco nel Borgo perché si trasferì a Messina dove morì nel 1801. Con la morte di questo Marchese iniziò la decadenza del Marchesato poiché il figlio Francesco,sperperò tutti gli averi e per poter mangiare fu costretto a vendere ai contadini i terreni in cambio di alimenti. Morì nel 1842, si sconosce il luogo di sepoltura. Gli succedette la vedova Giovanna Rao Corvaja che sposò Silvestro D’Auria, il quale s’investì del titolo di Marchese col Cognome di Loffredo e fu sindaco di Messina dove si distinse per le sue opere. La coppia abitò poco nel Palazzo poiché preferì trasferirsi a Contesse dove abitavano i suoi genitori. Morì nel 1880. Gli sarebbe dovuto succedere il primogenito Giuseppe, ma essendo questi Sacerdote il titolo passò al secondogenito Gaetano, deputato e amministratore della casa reale, e successivamente al nipote Vincenzo Loffredo Calcagno, che delegò la nipote Flavia Rao Corvaja a gestire tutti i suoi beni. Ella diede in affitto metà del Palazzo al maestro Leonardo Cuzari di Sebastiano, falegname, per la somma di “ducati quattro e grana venti pari a onze una e tarì dodici” da pagarsi ogni anno in monete d’argento. Il giorno 8 aprile 1856 davanti al notaio Mario Lo Monaco con atto N. 131 presenti il Sacerdote don Pietro Carpita, per procura avuta dagli eredi di Anna Tripodi, usufruttuaria di una parte del palazzo, Giuseppe, Santi e Concetto Melita, comproprietari cedono alla baronessa Flavia Rao Corvaja, ved. Gustarelli, la seconda parte del palazzo e tutte le proprietà del Marchesato. Il 20 Marzo 1875 la Marchesina Donna Flavia Rao Corvaja vende metà del Palazzo a Don Leonardo Cuzari di professione falegname, mentre il titolo di Marchese rimane al nipote Vincenzo Loffredo Calcagno, il quale conservò il titolo fino al 1903.Morì nel territorio di Librizzi nel 1944. Il 25 novembre del 1895 la marchesina Donna Flavia Rao Corvaja vende l’altra parte del Palazzo e tutte le proprietà annesse al maestro Leonardo Cuzari fu Sebastiano che a sua volta dinanzi al Notaio Gianbattista Famà, con atto notarile N.3031, fece testamento del palazzo e di tutte le proprietà al nipote Leonardo Cuzari fu Francesco, ultimo proprietario e Podestà di Mongiuffi Melia negli anni cinquanta.